giovedì 28 agosto 2014

Malga Pozze 9-10/8/2014


Alle 22 e 15 stavamo ancora camminando per raggiungere malga Pozze, sfruttando le ultime energie rimaste e la luce offertaci dalla luna piena che aveva ormai reso superfluo l’utilizzo delle pile. Questa volta la rifugiata è stata  ……troppa fretta iniziamo dal principio!

Prendendo spunto da un’escursione documentata in un blog, io e i rifugiati di turno decidiamo di raggiungere il bivacco buse delle Dodese, piccolo edificio di curata fattura ai confini tra Veneto e Trentino.
Agli immancabili Luca, Claudio, Cristian ed io questa volta si è aggiunto Marco, assente giustificato nell’ultima escursione al Salvedela.


La partenza è da “piazzale delle saline” come letto sul blog, più che un piazzale un’ampia  curva su una strada sassosa e stretta.
Optiamo per un menù più leggero e pratico rispetto al solito, viste le 3 ore e mezza previste per coprire il tragitto verso il Dodese.
La voglia di aggiungere una caciotta di pecorino alla cena ci ha fatto fermare ad una malga facendo slittare di un po’ la partenza. Dopo aver parcheggiato il furgone, compiuta la solita preparazione e distribuzione dei pesi, partiamo per la rifugiata alle 17 passate.
Il percorso fino a “piazzale Lozze” è abbastanza pianeggiante e spedito  ciò nonostante riusciamo ad essere in ritardo ad ogni pitstop previsto, il numero di marmotte avvistate è notevole.

Dopo il piazzale il sentiero che prendiamo(n.840) per l’obbligato passaggio dal monte Ortigara inizia ad inasprirsi e ad essere molto più ripido, lo scenario  è suggestivo, man mano che avanziamo ci addentriamo in un paesaggio  diverso, all’inizio era boscoso, ora più roccioso, sempre all’insegna del selvaggio, si ha l’impressione di essere lontani anni luce dal traffico quotidiano, dalle città, ed in realtà lo siamo.



Dopo aver  ricevuto dagli alpini presenti al poco più in alto rifugio Cecchin un sonoro no sulla eventualità  a passare lì la notte proseguiamo la nostra marcia, iniziamo a percepire nell’aria qualcosa difficile da spiegare, stavamo calpestando lo stesso suolo che 100 anni fa fu  calpestato da migliaia di poveri soldati, ed i segni iniziavano pian piano ad essere evidenti.
Alle 19 circa arriviamo al baito Ortigara, una casetta di pietre poco accogliente usata come ricovero chissà da quanti sventurati, le tabelle indicano due sentieri  per il monte Ortigara: uno diretto da 35 minuti ma in salita, l’ altro con aggiramento del monte da 45, dopo esserci rifocillati decidiamo di prendere il secondo.
Scelta azzeccata, non tanto dal punto di vista pratico(nella parte finale era sorprendentemente ripido)ma da quello  paesaggistico, durante l’ascesa  abbiamo visto oltre alle solite simpatiche marmotte due cervi, vedute mozzafiato delle valli sottostanti  ed una galleria scavata nella pura roccia con appostamenti militari da brividi.


  Fin qui tutto bello, paesaggi, panorami, reperti storici, a differenza delle precedenti rifugiate avevamo visto addirittura degli animali. L’unico neo  è l’ora, siamo sulla cima dell’ Ortigara ma sono già le 20, nonostante la conclamata esperienza alle notturne del “presidente”  non ero tranquillo, l’idea di camminare al buio nel bel mezzo del niente un po’ mi inquietava, soprattutto non sapendo dove e quanto distanti fossimo dal Dodese.
Infatti di tabelle per il bivacco fino ad ora nessuna(in realtà non ne troveremo mai)il rifugio Campilussi era ad un’ora e mezza, poi altre indicazioni verso punti a me ignoti.
Vista la titubanza ed eccessiva lentezza nel proseguire da parte di tutti decido di dare una smossa e prendo di gran lena un sentiero in discesa che mi sembrava  guardando la cartina andare nella direzione giusta, sperando di dare una scossa che ci facesse arrivare al bivacco ad una ora decente.
La scelta si è rivelata mezz’ora più tardi precipitosa ed errata, infatti secondo Luca non dovevamo lasciare l’altavia e rivedendo con calma le carte in nostro possesso aveva  ragione. Incassato lo giusto sfogo del”pacifico” per la mia scelta avventata, ci mettiamo a risalire la montagna  senza percorrere la precedente discesa, ma cercando seguendo  l’intuito di ricollegarci al sentiero per proseguire sull’altavia.


                                                               Il monte ortigara
La scelta per quanto improvvisata ci ha detto bene, dopo 10 minuti abbiamo già trovato l’indicazione che cercavamo, neanche a dirlo questa deviazione ci aveva fatto perdere ulteriormente del tempo, oramai il sole stava scendendo ed i colori del tramonto arrivavano accompagnati da una fresca brezza.
Da lì i primi cenni di cedimento: fisici da parte del “presidente” , materiali da parte del “pacifico”, il suo sandalo già rattoppato durante l’ultima escursione  lo aveva questa volta abbandonato definitivamente obbligandolo a  proseguire praticamente scalzo.
Il sole stava passando la mano alla luna con tutta la sua pienezza e del rifugio ancora nessuna traccia, finche non vediamo in lontananza ma ben visibile un rigagnolo di fumo.
“Il Dodese!!” Sarà anche già occupato ma almeno ci siamo! Accelerando il passo iniziamo a fare due conti, la struttura ha 6 posti letto, noi siamo in 5, anche se sono in due dovremo stringerci,  magari sono una compagnia  numerosa come la nostra, speriamo di no!
Ad un certo punto il fumo non si vede più e neanche il sentiero, anzi si restringe ed inizia a salire verticalmente nella direzione opposta da dove più a valle avevamo visto il fumo, io e Luca andiamo in sopralluogo e proviamo con le oramai necessarie pile a seguirlo ma l’oscurità assieme ad una leggera foschia  sembrava  averlo inghiottito, arrivati sul crinale il sentiero sembra scendere per il versante opposto al nostro sparendo nello strato  di nuvole sottostanti.


“Allora cosa facciamo?” Decidiamo di fare l’ultima cosa che si dovrebbe fare in montagna(soprattutto col buio)lasciare il sentiero e scendere per una via leggermente segnata sperando  di ritrovare il fumo amico
Errore numero due.
Dopo varie decine di metri arriviamo ad un boschetto e  lo pseudo sentiero svanisce, lasciando spazio al nostro intuito  per uscire dalla steppa  e provare a raggiungere almeno una stradina sterrata che avevamo notato sotto di noi prima di lasciare il sentiero stesso, tanto oramai secondo i nostri calcoli eravamo scesi troppo, ben al di sotto del bivacco.
Nel giro di qualche minuto finalmente arrivano due segnali positivi, primo: raggiungiamo la stradina, secondo: in lontananza sentiamo un belato,” se non sarà il rifugio almeno una malga abitata dove trovare alloggio”, pensiamo.
Dopo un bel camminare niente, la luna piena illuminava i nostri passi ma non alimentava più il nostro ottimismo, il numero di belati si era fermato ad uno, quello sentito all’inizio, circa 40 minuti prima.
Arriviamo ad una tabella, a sinistra “piazzale delle Saline”a 2 ore e 30 e “malga Pozze” ad 1 e 30, dritto proseguendo per la stradina  che qualche metro più in là spariva in discesa si andava in un posto mai sentito prima. Mentre gli altri discutevano sul da farsi  decido di vedere cosa c’era oltre il dosso.
La visione davanti a me era demoralizzante e grottesca: un gregge senza malga, con i pastori adagiati in un furgone, e a destra i resti di un fuoco, quello che aveva generato nelle nostre menti  il fumo del bivacco. Li le nostre speranze di raggiungere il Dodese erano oramai belle che sepolte.
Al mio ritorno mi trovo d’accordo con la decisione presa dal gruppo di provare a vedere se malga Pozze è abitata ed ospitale o se così non fosse stato raggiungere “piazzale delle Saline” chissà a che ora, buttar su una pasta, alzare il tetto a soffietto e dormire abbracciati dalla rabbia-delusione per  aver buttato all’aria una rifugiata che ormai era impacchettata, perché secondo i nostri calcoli eravamo veramente vicini al bivacco.
Alle 22 e 15 stavamo ancora camminando per raggiungere malga Pozze, sfruttando le ultime energie rimaste e la luce offertaci dalla luna piena  che aveva ormai reso superfluo l’utilizzo delle pile, questa volta la rifugiata era stata azzardata, partenza eccessivamente ritardata, decisioni scriteriate, ed anche un pizzico di sfortuna.
Dopo ben oltre l’ora e trenta segnalata troviamo una tabella:”piazzale delle Saline”1 ora e 45 a sinistra e “malga Pozze” 5 minuti  diritto, anche se un po’ scettici proviamo a vedere se c’è qualcuno alla malga e soprattutto(vista l’ora)se sono ancora svegli.
Avvicinandoci  vediamo chiaramente il riflesso del  manto e sentiamo il belare strepitante di innumerevoli  pecore, da una finestra si vede un lumino  all’interno della malga, la speranza aumentava.
Una volta vicini all’ingresso in rapida successione si avvicinavano quattro grossi cani neri abbaianti ed usciva un ragazzo, senza darci il tempo di capire se i migliori amici dell’uomo avessero cattive intenzioni perché subito richiamati.

                                                  Durante la notte la famiglia si è allargata  
“Ciao…scusa l’intrusione ma ci siamo persi, volevamo sapere se puoi ospitarci per questa notte!”
Dopo una risata a denti stretti e qualche parola farfugliata in mezzo veneto-italiano rientra per poi uscire assieme al presunto padrone, un breve attimo di studio  qualche domanda e ci fanno entrare dandoci ospitalità in una bella stanza tutta per noi, lasciandoci prima però piena disponibilità della cucina per farci la pasta ed il caffè.


Tra una fetta di soppressa, pecorino, vino portati da noi ed una grappa pesante fatta in casa offerta da loro ci lasciamo trasportare dai racconti di Fabio ed i suoi due collaboratori romeni, sulla vita da pastore, tra le difficoltà giornaliere e le soddisfazioni che questo lavoro può dare.
  Ci rendiamo conto di quanto siamo stati fortunati ancor di più quando veniamo a sapere che erano arrivati solo qualche giorno prima, e che sarebbero rimasti solo un paio di settimane.
Un'altra notizia a dir poco allucinante era che il fuoco acceso dai pastori visto qualche ora prima serviva  per tenere lontano l’orso denominato M4, che da parecchi giorni circolava nella zona uccidendo molte mucche e vitelli.


Verso l’una e trenta dopo l’ultimo saluto alle stelle ci mettiamo a dormire, tra una sgommata e l’altra nei materassini ad aria ed il gran russare proveniente dalla camera pastorale finalmente ci addormentiamo, ripensando alle molte emozioni vissute durante la giornata.
La mattina, dopo aver fatto colazione, salutato e ringraziato(non finiremo mai di farlo)i nostri nuovi amici ci mettiamo in marcia verso il furgone.





Tempo un paio d’ore su una bella strada bianca e siamo già a”piazzale delle Saline”.
Decidiamo di concludere la rifugiata con il solito pranzo, ma una volta arrivati alla malga Stadler ci dobbiamo accontentare di quello avanzato la sera prima, li non fanno piatti caldi.
Dopo il pranzo ci aspettava la visita alla “città di roccia” con le sue bellissime pareti rocciose e le trincee della grande guerra.


Gran coronamento ad un fine settimana memorabile, ancora grazie Fabio.
Arrivederci rifugiati…