Alle 22 e 15 stavamo ancora camminando per raggiungere malga
Pozze, sfruttando le ultime energie rimaste e la luce offertaci dalla luna
piena che aveva ormai reso superfluo l’utilizzo delle pile. Questa volta la
rifugiata è stata ……troppa fretta
iniziamo dal principio!
Prendendo spunto da un’escursione documentata in un blog, io
e i rifugiati di turno decidiamo di raggiungere il bivacco buse delle Dodese,
piccolo edificio di curata fattura ai confini tra Veneto e Trentino.
Agli immancabili Luca, Claudio, Cristian ed io questa volta
si è aggiunto Marco, assente giustificato nell’ultima escursione al Salvedela.
La partenza è da “piazzale delle saline” come letto sul
blog, più che un piazzale un’ampia curva
su una strada sassosa e stretta.
Optiamo per un menù più leggero e pratico rispetto al solito,
viste le 3 ore e mezza previste per coprire il tragitto verso il Dodese.
La voglia di aggiungere una caciotta di pecorino alla cena
ci ha fatto fermare ad una malga facendo slittare di un po’ la partenza. Dopo
aver parcheggiato il furgone, compiuta la solita preparazione e distribuzione
dei pesi, partiamo per la rifugiata alle 17 passate.
Il percorso fino a “piazzale Lozze” è abbastanza
pianeggiante e spedito ciò nonostante
riusciamo ad essere in ritardo ad ogni pitstop previsto, il numero di marmotte
avvistate è notevole.
Dopo il piazzale il sentiero che prendiamo(n.840) per
l’obbligato passaggio dal monte Ortigara inizia ad inasprirsi e ad essere molto
più ripido, lo scenario è suggestivo,
man mano che avanziamo ci addentriamo in un paesaggio diverso, all’inizio era boscoso, ora più
roccioso, sempre all’insegna del selvaggio, si ha l’impressione di essere
lontani anni luce dal traffico quotidiano, dalle città, ed in realtà lo siamo.
Dopo aver ricevuto
dagli alpini presenti al poco più in alto rifugio Cecchin un sonoro no sulla eventualità
a passare lì la notte proseguiamo la
nostra marcia, iniziamo a percepire nell’aria qualcosa difficile da spiegare,
stavamo calpestando lo stesso suolo che 100 anni fa fu calpestato da migliaia di poveri soldati, ed
i segni iniziavano pian piano ad essere evidenti.
Alle 19 circa arriviamo al baito Ortigara, una casetta di
pietre poco accogliente usata come ricovero chissà da quanti sventurati, le
tabelle indicano due sentieri per il
monte Ortigara: uno diretto da 35 minuti ma in salita, l’ altro con aggiramento
del monte da 45, dopo esserci rifocillati decidiamo di prendere il secondo.
Scelta azzeccata, non tanto dal punto di vista pratico(nella
parte finale era sorprendentemente ripido)ma da quello paesaggistico, durante l’ascesa abbiamo visto oltre alle solite simpatiche
marmotte due cervi, vedute mozzafiato delle valli sottostanti ed una galleria scavata nella pura roccia con
appostamenti militari da brividi.
Fin qui tutto bello, paesaggi, panorami, reperti storici, a
differenza delle precedenti rifugiate avevamo visto addirittura degli animali. L’unico
neo è l’ora, siamo sulla cima dell’
Ortigara ma sono già le 20, nonostante la conclamata esperienza alle notturne
del “presidente” non ero tranquillo,
l’idea di camminare al buio nel bel mezzo del niente un po’ mi inquietava,
soprattutto non sapendo dove e quanto distanti fossimo dal Dodese.
Infatti di tabelle per il bivacco fino ad ora nessuna(in
realtà non ne troveremo mai)il rifugio Campilussi era ad un’ora e mezza, poi
altre indicazioni verso punti a me ignoti.
Vista la titubanza ed eccessiva lentezza nel proseguire da
parte di tutti decido di dare una smossa e prendo di gran lena un sentiero in
discesa che mi sembrava guardando la
cartina andare nella direzione giusta, sperando di dare una scossa che ci
facesse arrivare al bivacco ad una ora decente.
La scelta si è rivelata mezz’ora più tardi precipitosa ed
errata, infatti secondo Luca non dovevamo lasciare l’altavia e rivedendo con
calma le carte in nostro possesso aveva
ragione. Incassato lo giusto sfogo del”pacifico” per la mia scelta
avventata, ci mettiamo a risalire la montagna
senza percorrere la precedente discesa, ma cercando seguendo l’intuito di ricollegarci al sentiero per
proseguire sull’altavia.
La scelta per quanto improvvisata ci ha detto bene, dopo 10
minuti abbiamo già trovato l’indicazione che cercavamo, neanche a dirlo questa
deviazione ci aveva fatto perdere ulteriormente del tempo, oramai il sole stava
scendendo ed i colori del tramonto arrivavano accompagnati da una fresca
brezza.
Da lì i primi cenni di cedimento: fisici da parte del
“presidente” , materiali da parte del “pacifico”, il suo sandalo già rattoppato
durante l’ultima escursione lo aveva
questa volta abbandonato definitivamente obbligandolo a proseguire praticamente scalzo.
Il sole stava passando la mano alla luna con tutta la sua
pienezza e del rifugio ancora nessuna traccia, finche non vediamo in lontananza
ma ben visibile un rigagnolo di fumo.
“Il Dodese!!” Sarà anche già occupato ma almeno ci siamo! Accelerando
il passo iniziamo a fare due conti, la struttura ha 6 posti letto, noi siamo in
5, anche se sono in due dovremo stringerci, magari sono una compagnia numerosa come la nostra, speriamo di no!
Ad un certo punto il fumo non si vede più e neanche il
sentiero, anzi si restringe ed inizia a salire verticalmente nella direzione
opposta da dove più a valle avevamo visto il fumo, io e Luca andiamo in
sopralluogo e proviamo con le oramai necessarie pile a seguirlo ma l’oscurità assieme
ad una leggera foschia sembrava averlo inghiottito, arrivati sul crinale il
sentiero sembra scendere per il versante opposto al nostro sparendo nello
strato di nuvole sottostanti.
“Allora cosa facciamo?” Decidiamo di fare l’ultima cosa che si
dovrebbe fare in montagna(soprattutto col buio)lasciare il sentiero e scendere
per una via leggermente segnata sperando di ritrovare il fumo amico
Errore numero due.
Dopo varie decine di metri arriviamo ad un boschetto e lo pseudo sentiero svanisce, lasciando spazio
al nostro intuito per uscire dalla
steppa e provare a raggiungere almeno
una stradina sterrata che avevamo notato sotto di noi prima di lasciare il
sentiero stesso, tanto oramai secondo i nostri calcoli eravamo scesi troppo, ben
al di sotto del bivacco.
Nel giro di qualche minuto finalmente arrivano due segnali
positivi, primo: raggiungiamo la stradina, secondo: in lontananza sentiamo un
belato,” se non sarà il rifugio almeno una malga abitata dove trovare alloggio”,
pensiamo.
Dopo un bel camminare niente, la luna piena illuminava i
nostri passi ma non alimentava più il nostro ottimismo, il numero di belati si
era fermato ad uno, quello sentito all’inizio, circa 40 minuti prima.
Arriviamo ad una tabella, a sinistra “piazzale delle Saline”a
2 ore e 30 e “malga Pozze” ad 1 e 30, dritto proseguendo per la stradina che qualche metro più in là spariva in
discesa si andava in un posto mai sentito prima. Mentre gli altri discutevano
sul da farsi decido di vedere cosa c’era
oltre il dosso.
La visione davanti a me era demoralizzante e grottesca: un
gregge senza malga, con i pastori adagiati in un furgone, e a destra i resti di
un fuoco, quello che aveva generato nelle nostre menti il fumo del bivacco. Li le nostre speranze di
raggiungere il Dodese erano oramai belle che sepolte.
Al mio ritorno mi trovo d’accordo con la decisione presa dal
gruppo di provare a vedere se malga Pozze è abitata ed ospitale o se così non
fosse stato raggiungere “piazzale delle Saline” chissà a che ora, buttar su una
pasta, alzare il tetto a soffietto e dormire abbracciati dalla rabbia-delusione
per aver buttato all’aria una rifugiata
che ormai era impacchettata, perché secondo i nostri calcoli eravamo veramente
vicini al bivacco.
Alle 22 e 15 stavamo ancora camminando per raggiungere malga
Pozze, sfruttando le ultime energie rimaste e la luce offertaci dalla luna
piena che aveva ormai reso superfluo
l’utilizzo delle pile, questa volta la rifugiata era stata azzardata, partenza eccessivamente
ritardata, decisioni scriteriate, ed anche un pizzico di sfortuna.
Dopo ben oltre l’ora e trenta segnalata troviamo una
tabella:”piazzale delle Saline”1 ora e 45 a sinistra e “malga Pozze” 5 minuti diritto, anche se un po’ scettici proviamo a
vedere se c’è qualcuno alla malga e soprattutto(vista l’ora)se sono ancora
svegli.
Avvicinandoci vediamo
chiaramente il riflesso del manto e
sentiamo il belare strepitante di innumerevoli pecore, da una finestra si vede un lumino all’interno della malga, la speranza aumentava.
Una volta vicini all’ingresso in rapida successione si avvicinavano
quattro grossi cani neri abbaianti ed usciva un ragazzo, senza darci il tempo
di capire se i migliori amici dell’uomo avessero cattive intenzioni perché
subito richiamati.
Durante la notte la famiglia si è allargata
“Ciao…scusa l’intrusione ma ci siamo persi, volevamo sapere
se puoi ospitarci per questa notte!”
Dopo una risata a denti stretti e qualche parola farfugliata
in mezzo veneto-italiano rientra per poi uscire assieme al presunto padrone, un
breve attimo di studio qualche domanda e
ci fanno entrare dandoci ospitalità in una bella stanza tutta per noi,
lasciandoci prima però piena disponibilità della cucina per farci la pasta ed
il caffè.
Tra una fetta di soppressa, pecorino, vino portati da noi ed
una grappa pesante fatta in casa offerta da loro ci lasciamo trasportare dai
racconti di Fabio ed i suoi due collaboratori romeni, sulla vita da pastore, tra
le difficoltà giornaliere e le soddisfazioni che questo lavoro può dare.
Ci rendiamo conto di
quanto siamo stati fortunati ancor di più quando veniamo a sapere che erano
arrivati solo qualche giorno prima, e che sarebbero rimasti solo un paio di
settimane.
Un'altra notizia a dir poco allucinante era che il fuoco
acceso dai pastori visto qualche ora prima serviva per tenere lontano l’orso denominato M4, che
da parecchi giorni circolava nella zona uccidendo molte mucche e vitelli.
Verso l’una e trenta dopo l’ultimo saluto alle stelle ci mettiamo a dormire, tra una sgommata e l’altra nei materassini ad aria ed il gran russare proveniente dalla camera pastorale finalmente ci addormentiamo, ripensando alle molte emozioni vissute durante la giornata.
Verso l’una e trenta dopo l’ultimo saluto alle stelle ci mettiamo a dormire, tra una sgommata e l’altra nei materassini ad aria ed il gran russare proveniente dalla camera pastorale finalmente ci addormentiamo, ripensando alle molte emozioni vissute durante la giornata.
La mattina, dopo aver fatto colazione, salutato e
ringraziato(non finiremo mai di farlo)i nostri nuovi amici ci mettiamo in
marcia verso il furgone.
Tempo un paio d’ore su una bella strada bianca e siamo già
a”piazzale delle Saline”.
Decidiamo di concludere la rifugiata con il solito pranzo,
ma una volta arrivati alla malga Stadler ci dobbiamo accontentare di quello
avanzato la sera prima, li non fanno piatti caldi.
Dopo il pranzo ci aspettava la visita alla “città di roccia”
con le sue bellissime pareti rocciose e le trincee della grande guerra.
Gran coronamento ad un fine settimana memorabile, ancora
grazie Fabio.