La partenza da Vare (frazione di Avoscan) verso il bivacco col Mandro vedeva oltre al
sottoscritto (la guida) al “presidente”(Cristian), il “saggio”(Claudio), il “portaborse”(Claudio
anche lui), finalmente, dopo molte
assenze il gradito ritorno del “folletto”(Michele,come la guida)più in forma
che mai, almeno nella determinazione.
Al momento della suddivisione dei carichi il folletto tira
fuori una bottiglia sigillata di rosso, tutti noi vista l’ormai veneranda esperienza
in rifugiate lo mettiamo in guardia che il vetro pesa ed il vuoto si deve riportare a valle,
infatti la rifugiata al Loff(non recensita) in cui c’era anche lui fu la prima
ed ultima con vino su vetro, da allora solo plastica, pesa poco e da vuota una
volta pressata occupa poco spazio al ritorno.
Ma lui dopo un attimo di riflessione…”dai ea porto mi, no xe
ea botiglia che pesa” detto fatto, il
dolce prodotto scompariva all’interno del suo zaino che man mano diventava
sempre più grande e pesante da quante cose ci infilava.
Finalmente lasciamo lo spiazzo dove abbiamo parcheggiato la macchina del saggio verso le 14, e ci
indirizziamo verso la partenza dell’escursione, una bella stradina sassosa li
vicina.
L’inizio è subito in salita, e dopo pochi minuti siamo già
in discreta quota, i cartelli da seguire per il bivacco sembrano essere quelli
con scritto: ”col Mandro” l’omonimo monte,per questo andiamo a colpo sicuro. Dopo
un po’ troviamo una deviazione per il bosco dove incontriamo dei taglialegna che
durante il nostro transito distraiamo con qualche chiacchiera, proseguiamo e ci
ricongiungiamo alla stradina.
Fin li tutto semplice, la via è ben percorribile. Ad un
certo punto da una delle tante curve vediamo un sentiero ben marcato staccarsi
ed inoltrarsi nel bosco, verso destra, non vediamo nessuna indicazione verso
quella direzione e vista la precedente esperienza al “Dodese” non ci fidiamo a lasciare
il sentiero principale, allora proseguiamo diritti.
Dopo una 30ina di minuti però la stradina svanisce diventando un sentiero stretto, ed inizia a
scendere, un breve conciliabolo e ci fidiamo del simbolo Cai(il simbolo biancorosso))che
vediamo in un albero ed iniziamo la discesa, senza troppa convinzione però.
Il tempo di percorrere poche
decine di metri ed aver
recuperato il mio sacco a pelo rotolato verso valle per qualche metro(per
fortuna si è fermato su di un ramo) che cambiamo idea e risaliamo il sentiero
per riprendere la stradina, altro breve conciliabolo e decidiamo di tornare
indietro e provare la deviazione che avevamo visto in precedenza, ignorando un’altro
sentiero che partiva da li in salita, poco segnato, secondo la nostra mappa ci
sembrava portare fuori zona.
Neanche a dirlo ma questo imprevisto ci fa perdere molto più
di un’ora, vabbè l’importante è prendere il sentiero giusto, una volta arrivati
alla deviazione, vista la mancanza di segnali il dubbio ritorna:ma sarà quello
giusto?
Ormai siamo li e decidiamo di provare, secondo le
indicazioni che avevo estrapolato da internet c’erano due vie per arrivare al
col Mandro(1844 m), una era la nostra, da Vare (830 m) tramite la stradina appunto, l’altra più lunga
ma meno ripida da Colàz (1031 m) un paesino vicino Cencenighe, tramite il sentiero 567.
Ad un certo punto però le due vie si congiungevano e vista la mappa quel punto era sopra la nostra
testa, chissà quanto più in alto però.
Il sentiero è molto più piacevole della stradina ma dopo un po’ si inasprisce, in salita, nel bel mezzo del bosco, e per salire siamo obbligati a zigzagare per non caricare troppo le gambe, per fortuna la mancanza di cartelli viene compensata dai numerosi simboli Cai sugli alberi il che ci fa proseguire fiduciosi, il bosco è talmente ripido e rado che penso quanto bello deve essere d’inverno salire con le ciaspole, dormire nel bivacco per poi il giorno dopo scendere con lo snowboard, penso.. ”massa acciacchi, sarà paea prossima vita!”
Nella salita il
presidente ed il folletto erano rimasti notevolmente indietro cosi ne
approfittiamo per scattare qualche foto,
e rinfrescarci con il cambio di maglia imbevuta delle fatiche per la salita, il
lago di Alleghe è già ben visibile sotto i nostri piedi.
Al loro arrivo il folletto getta lo zaino per terra in segno
di protesta assieme a qualche prima lamentela-imprecazione, man mano ne
seguiranno altre.
Per curiosità raccolgo il suo enorme zaino, avrà pesato il
doppio del mio, lamentele comprensibili.
Il sentiero proseguiva a destra tanto per cambiare in bella salita, finalmente
accompagnato da un cartello con su scritto ”bivacco col Mandro” a sinistra in
discesa verso chissà dove, forse si congiunge con quello che avevamo scartato
qualche ora prima.
Riprendiamo la marcia, adesso la stanchezza sulle gambe si
fa un po’ sentire, riceviamo un messaggio dal “pacifico” (Luca) ed il “poeta
romantico”(Loris) che sono in trasferta a Monaco per una scampagnata all’Oktoberfest,
tutto bene, stanno bevendo birra e puntando qualche pollastrella, ci fa piacere
ma quello che noi vorremmo in questo istante è che il sentiero diventasse un po’ più dolce,
invece no, sempre su.
Finalmente raggiungiamo uno dei tre punti intermedi fissati
da noi come riferimento, il congiungimento con il sentiero che sale da Colàz.
Siamo a buon punto fra un po’ raggiungeremo il col belvedere
e dopo sarà una passeggiata arrivare al bivacco.
Effettivamente la distanza dal belvedere non è abissale ma
siamo sempre più lenti e comunque per niente ansiosi di arrivare, del resto la
meta è un luogo che va conquistato lentamente,assaporando tutto quello che
durante il cammino si incontra , ci capita, per questo arriviamo al secondo
punto intermedio dopo un’ora circa,esattamente alle 17 e 45.
Ci sbarazziamo degli zaini e ci godiamo il meraviglioso panorama,
il salto è notevole, si vede anche il punto in cui abbiamo lasciato l’auto, dev’essere
una favola buttarsi giù con un mezzo che ti permetta di volare, un parapendio,
un deltaplano, penso…”massa video vardo!”
Mentre ci rilassiamo sorseggiando una meritata sana“ombra”alla nostra destra sbuca scendendo leggiadramente
dal bosco, quasi saltellando un escursionista francese che alla nostra prima
originalissima domanda venutaci in mente ci risponde che il bivacco è ad un’ora
circa da li ed è libero.
Dopo aver percorso un altro bel tratto di bosco arriviamo al
terzo ed ultimo punto intermedio, la ferrata.
In realtà niente di impegnativo: tre scalini di acciaio ben piantati
sulla roccia verticale accompagnati da un cordino di metallo per agevolarne la
salita, roba da poco si, ma essenziale per poter superare il leggero
dislivello, grazie alpini.
Una volta sopra io ed il portaborse decidiamo di fermarci per godere della reazione del resto del gruppo alla vista
dell’insolito passaggio, il saggio ed il presidente hanno risposto con una
risata, ovviamente la reazione più folcloristica è arrivata dal folletto che
aveva già manifestato più volte un certo malcontento per la fin qui faticosa
escursione, infatti in maniera plateale getta lo zaino e sedendosi in una
roccia esclama:”no fasso più ste robe”.
In realtà poco dopo, appena vista la bellezza del posto e
del bivacco dirà tutto l’opposto, un grande.
Finalmente dopo un’altra mezzora abbondante arriviamo alla
meta, alle 19 e 30 circa, dopo 5 ore e 30 di mera salita.
Queste cifre non sono da prendere come puro riferimento, in
realta con un buon allenamento,leggeri, e senza troppe soste credo ci si possano
mettere due-tre ore in meno.
Ma noi siamo rifugiati,ce la prendiamo comoda e
facciamo di un bivacco la nostra casa per una notte, portandoci al seguito
tutto quello che occorre per consumare una buona cena e fare bisboccia, dalla A alla
Z, si anche il dolce, lo zaino del francese era cinque volte più piccolo del
nostro, dieci più di quello del folletto ))
lago di Alleghe
la signora "civetta"
Torniamo a noi, il bivacco è bellissimo, ricostruito negli
anni 50 dopo i danni causati da un’enorme slavina, sembra una casetta della
Rubner, adagiato sotto una pendice rocciosa e con davanti una vista
incredibile, il lago di Alleghe sempre in bella mostra e un sacco di vette ben
visibili tutte davanti a noi, il Civetta poco più in la sembra fare da custode
a questo posto incantevole.
Entriamo e troviamo tutto l’occorrente: stufa a legna, tavolo
con panche e pentole, acqua su taniche, evvivaaa!! alzando gli occhi però vediamo
un cartello poco simpatico che più o meno diceva così:”non accendere la stufa,
camino guasto”neanche il tempo di allarmarci che il saggio aveva già risolto il
problema.
Il coperchio del camino non c’era perché rotto, allora gli
autori del cartello avevano tappato il buco con un pezzo di nailon, perché non
piovesse dentro.
Visto il tempo buono previsto decidiamo di togliere, solo
per la sera, l’improvvisata copertura potendo usufruire del fuoco,per cucinare
la pasta e scaldarci.
Infatti essendo ottobre, appena sceso il sole la temperatura
andò vertiginosamente ben sotto i dieci gradi.
Mentre aspettiamo che l’acqua bolla andiamo ad ispezionare
il reparto notte, quattro letti a castello per un totale di otto posti letto,
materassi e coperte, sinceramente un po’ sporco e con qualche cacchetta di
topo. Scelto e preparato il proprio letto per la notte possiamo concentrarci
sul resto:
taglio della legna, preparazione della tavola e del cibo, insomma…i
soliti compiti da rifugiati.
Il menù è quello
fisso: spaghetti aglio olio e peperoncino, soppressa fresca, giardiniera, insalata, pane
e vino a volontà, dolce caffè e grappa, alle 22 circa finiamo di mangiare.
Dopo molte chiacchiere iniziamo a giocare a carte e tra un
grappino e l’altro si è fatta presto l’ora di andare a nanna, il programma per
il giorno successivo era fare un giro escursionistico in zona, farci una pasta
e tornare a valle.
Dico era perché avendo cercato invano buona parte del
mattino seguente la sorgente che avevo letto esserci li vicino( eppure due
escursionisti passati di li ci avevano assicurato che c’era), abbiamo dovuto
rinunciare alla pasta, e purtroppo anche a riempire le taniche d’acqua usate.
Pure il giro è saltato, visto che avevamo deciso di non
scendere in pianura troppo tardi, e comunque eravamo già appagati dalla bella e
lunga salita del giorno prima.
Allora alle 12 ci mettiamo in marcia per la via del ritorno,
non prima di aver pulito il bivacco, ritappato col nailon il camino e contemplato
per l’ultima volta quel meraviglioso panorama.
Comunque il ritorno non sarebbe stata una passeggiata,
infatti la fatica in discesa è si minore però a patire sono le ginocchia(almeno
le mie) , ma con l’aiuto dei bastoni prestatimi dal portaborse me la sono
cavata bene, in poco tempo abbiamo raggiunto cima belvedere dove abbiamo
pranzato con tutto ciò che non non avevamo spazzolato il giorno prima, un altro
paio d’ore ed il rientro era completato, sigh’.
Alla prossima rifugiatiiii!