giovedì 6 novembre 2014

Bivacco Col Mandro 4-5 10/2014





La partenza da Vare (frazione di Avoscan)  verso il bivacco col Mandro vedeva oltre al sottoscritto (la guida) al “presidente”(Cristian), il “saggio”(Claudio), il “portaborse”(Claudio anche lui),  finalmente, dopo molte assenze il gradito ritorno del “folletto”(Michele,come la guida)più in forma che mai, almeno nella determinazione.
Al momento della suddivisione dei carichi il folletto tira fuori una bottiglia sigillata di rosso, tutti noi vista l’ormai veneranda esperienza in rifugiate lo mettiamo in guardia che il vetro  pesa ed il vuoto si deve riportare a valle, infatti la rifugiata al Loff(non recensita) in cui c’era anche lui fu la prima ed ultima con vino su vetro, da allora solo plastica, pesa poco e da vuota una volta pressata occupa poco spazio al ritorno.
Ma lui dopo un attimo di riflessione…”dai ea porto mi, no xe ea botiglia che pesa” detto  fatto, il dolce prodotto scompariva all’interno del suo zaino che man mano diventava sempre più grande e pesante da quante cose ci infilava.


Finalmente lasciamo lo spiazzo dove abbiamo parcheggiato  la macchina del saggio verso le 14, e ci indirizziamo verso la partenza dell’escursione, una bella stradina sassosa li vicina.
L’inizio è subito in salita, e dopo pochi minuti siamo già in discreta quota, i cartelli da seguire per il bivacco sembrano essere quelli con scritto: ”col Mandro” l’omonimo monte,per questo andiamo a colpo sicuro. Dopo un po’ troviamo una deviazione per il bosco dove incontriamo dei taglialegna che durante il nostro transito distraiamo con qualche chiacchiera, proseguiamo e ci ricongiungiamo alla stradina.


Fin li tutto semplice, la via è ben percorribile. Ad un certo punto da una delle tante curve vediamo un sentiero ben marcato staccarsi ed inoltrarsi nel bosco, verso destra, non vediamo nessuna indicazione verso quella direzione e vista la precedente esperienza al “Dodese” non ci fidiamo a lasciare il sentiero principale, allora proseguiamo diritti.
Dopo una 30ina di minuti però la stradina svanisce  diventando un sentiero stretto, ed inizia a scendere, un breve conciliabolo e ci fidiamo del simbolo Cai(il simbolo biancorosso))che vediamo in un albero ed iniziamo la discesa, senza troppa convinzione però.
Il tempo di percorrere poche  decine di metri  ed aver recuperato il mio sacco a pelo rotolato verso valle per qualche metro(per fortuna si è fermato su di un ramo) che cambiamo idea e risaliamo il sentiero per riprendere la stradina, altro breve conciliabolo e decidiamo di tornare indietro e provare la deviazione che avevamo visto in precedenza, ignorando un’altro sentiero che partiva da li in salita, poco segnato, secondo la nostra mappa ci sembrava portare fuori zona.
Neanche a dirlo ma questo imprevisto ci fa perdere molto più di un’ora, vabbè l’importante è prendere il sentiero giusto, una volta arrivati alla deviazione, vista la mancanza di segnali il dubbio ritorna:ma sarà quello giusto?
Ormai siamo li e decidiamo di provare, secondo le indicazioni che avevo estrapolato da internet c’erano due vie per arrivare al col Mandro(1844 m), una era la nostra, da Vare (830 m)  tramite la stradina appunto, l’altra più lunga ma meno ripida da Colàz (1031 m) un paesino vicino Cencenighe, tramite il sentiero  567.
Ad un certo punto però le due vie si congiungevano  e vista la mappa quel punto era sopra la nostra testa, chissà quanto più in alto però.


 Il sentiero è molto più piacevole della stradina ma dopo un po’ si inasprisce, in salita, nel bel mezzo del bosco, e per salire siamo obbligati a zigzagare per non caricare troppo le gambe, per fortuna la mancanza di cartelli viene compensata dai numerosi simboli Cai sugli alberi il che ci fa proseguire fiduciosi, il bosco è talmente ripido e rado che penso quanto bello deve essere d’inverno salire con le ciaspole, dormire nel bivacco per poi il giorno dopo scendere con lo snowboard, penso.. ”massa acciacchi, sarà paea prossima vita!”

Dopo un bel po’ arriviamo al primo punto panoramico, speravo si trattasse di “cima belvedere”, da li sapevo che il bivacco era ad un’ora e mezza, ma purtroppo per noi non lo era.
Nella salita  il presidente ed il folletto erano rimasti notevolmente indietro cosi ne approfittiamo per scattare qualche  foto, e rinfrescarci con il cambio di maglia imbevuta delle fatiche per la salita, il lago di Alleghe è già ben visibile sotto i nostri piedi.
Al loro arrivo il folletto getta lo zaino per terra in segno di protesta assieme a qualche prima lamentela-imprecazione, man mano ne seguiranno altre.
Per curiosità raccolgo il suo enorme zaino, avrà pesato il doppio del mio, lamentele comprensibili.
Il sentiero proseguiva a destra  tanto per cambiare in bella salita, finalmente accompagnato da un cartello con su scritto ”bivacco col Mandro” a sinistra in discesa verso chissà dove, forse si congiunge con quello che avevamo scartato qualche ora prima.
Riprendiamo la marcia, adesso la stanchezza sulle gambe si fa un po’ sentire, riceviamo un messaggio dal “pacifico” (Luca) ed il “poeta romantico”(Loris) che sono in trasferta a Monaco per una scampagnata all’Oktoberfest, tutto bene, stanno bevendo birra e puntando qualche pollastrella, ci fa piacere ma quello che noi vorremmo in questo istante  è che il sentiero diventasse un po’ più dolce, invece no, sempre su.
Finalmente raggiungiamo uno dei tre punti intermedi fissati da noi come riferimento, il congiungimento con il sentiero che sale da Colàz.
Siamo a buon punto fra un po’ raggiungeremo il col belvedere e dopo sarà una passeggiata arrivare al bivacco.
Effettivamente la distanza dal belvedere non è abissale ma siamo sempre più lenti e comunque per niente ansiosi di arrivare, del resto la meta è un luogo che va conquistato lentamente,assaporando tutto quello che durante il cammino si incontra , ci capita, per questo arriviamo al secondo punto intermedio dopo un’ora circa,esattamente alle 17 e 45.



Ci sbarazziamo degli zaini e ci godiamo il meraviglioso panorama, il salto è notevole, si vede anche il punto in cui abbiamo lasciato l’auto, dev’essere una favola buttarsi giù con un mezzo che ti permetta di volare, un parapendio, un deltaplano, penso…”massa video vardo!”
Mentre ci rilassiamo sorseggiando una meritata  sana“ombra”alla nostra destra sbuca scendendo leggiadramente dal bosco, quasi saltellando un escursionista francese che alla nostra prima originalissima domanda venutaci in mente ci risponde che il bivacco è ad un’ora circa da li ed è libero.
Dopo aver percorso un altro bel tratto di bosco arriviamo al terzo ed ultimo punto intermedio, la ferrata.

In realtà niente di impegnativo: tre scalini di acciaio ben piantati sulla roccia verticale accompagnati da un cordino di metallo per agevolarne la salita, roba da poco si, ma essenziale per poter superare il leggero dislivello, grazie alpini.
Una volta sopra io ed il portaborse decidiamo di fermarci per godere della reazione  del resto del gruppo alla vista dell’insolito passaggio, il saggio ed il presidente hanno risposto con una risata, ovviamente la reazione più folcloristica è arrivata dal folletto che aveva già manifestato più volte un certo malcontento per la fin qui faticosa escursione, infatti in maniera plateale getta lo zaino e sedendosi in una roccia esclama:”no fasso più ste robe”.
In realtà poco dopo, appena vista la bellezza del posto e del bivacco dirà tutto l’opposto, un grande.
Finalmente dopo un’altra mezzora abbondante arriviamo alla meta, alle 19 e 30 circa, dopo 5 ore e 30 di mera salita.


Queste cifre non sono da prendere come puro riferimento, in realta con un buon allenamento,leggeri, e senza troppe soste credo ci si possano mettere due-tre ore in meno.
Ma noi siamo rifugiati,ce la prendiamo comoda e facciamo di un bivacco la nostra casa per una notte, portandoci al seguito tutto quello che occorre per consumare una buona cena e fare bisboccia, dalla A alla Z, si anche il dolce, lo zaino del francese era cinque volte più piccolo del nostro, dieci più di quello del folletto ))

 lago di Alleghe
                                                                                   la signora "civetta"
Torniamo a noi, il bivacco è bellissimo, ricostruito negli anni 50 dopo i danni causati da un’enorme slavina, sembra una casetta della Rubner, adagiato sotto una pendice rocciosa e con davanti una vista incredibile, il lago di Alleghe sempre in bella mostra e un sacco di vette ben visibili tutte davanti a noi, il Civetta poco più in la sembra fare da custode a questo posto incantevole.


Entriamo e troviamo tutto l’occorrente: stufa a legna, tavolo con panche e pentole, acqua su taniche, evvivaaa!! alzando gli occhi però vediamo un cartello poco simpatico che più o meno diceva così:”non accendere la stufa, camino guasto”neanche il tempo di allarmarci che il saggio aveva già risolto il problema.
Il coperchio del camino non c’era perché rotto, allora gli autori del cartello avevano tappato il buco con un pezzo di nailon, perché non piovesse dentro.
Visto il tempo buono previsto decidiamo di togliere, solo per la sera, l’improvvisata copertura potendo usufruire del fuoco,per cucinare la pasta e scaldarci.
Infatti essendo ottobre, appena sceso il sole la temperatura andò vertiginosamente ben sotto i dieci gradi.

Mentre aspettiamo che l’acqua bolla andiamo ad ispezionare il reparto notte, quattro letti a castello per un totale di otto posti letto, materassi e coperte, sinceramente un po’ sporco e con qualche cacchetta di topo. Scelto e preparato il proprio letto per la notte possiamo concentrarci sul resto:
taglio della legna, preparazione della tavola e del cibo, insomma…i soliti compiti da rifugiati.

Il menù  è quello fisso: spaghetti aglio olio e peperoncino, soppressa fresca, giardiniera, insalata, pane e vino a volontà, dolce caffè e grappa, alle 22 circa finiamo di mangiare.



Dopo molte chiacchiere iniziamo a giocare a carte e tra un grappino e l’altro si è fatta presto l’ora di andare a nanna, il programma per il giorno successivo era fare un giro escursionistico in zona, farci una pasta e tornare a valle.
Dico era perché avendo cercato invano buona parte del mattino seguente la sorgente che avevo letto esserci li vicino( eppure due escursionisti passati di li ci avevano assicurato che c’era), abbiamo dovuto rinunciare alla pasta, e purtroppo anche a riempire le taniche d’acqua usate.
Pure il giro è saltato, visto che avevamo deciso di non scendere in pianura troppo tardi, e comunque eravamo già appagati dalla bella e lunga salita del giorno prima.




Allora alle 12 ci mettiamo in marcia per la via del ritorno, non prima di aver pulito il bivacco, ritappato col nailon il camino e contemplato per l’ultima volta quel meraviglioso panorama.
Comunque il ritorno non sarebbe stata una passeggiata, infatti la fatica in discesa è si minore però a patire sono le ginocchia(almeno le mie) , ma con l’aiuto dei bastoni prestatimi dal portaborse me la sono cavata bene, in poco tempo abbiamo raggiunto cima belvedere dove abbiamo pranzato con tutto ciò che non non avevamo spazzolato il giorno prima, un altro paio d’ore ed il rientro era completato, sigh’.

                                                          Alla prossima rifugiatiiii!





giovedì 28 agosto 2014

Malga Pozze 9-10/8/2014


Alle 22 e 15 stavamo ancora camminando per raggiungere malga Pozze, sfruttando le ultime energie rimaste e la luce offertaci dalla luna piena che aveva ormai reso superfluo l’utilizzo delle pile. Questa volta la rifugiata è stata  ……troppa fretta iniziamo dal principio!

Prendendo spunto da un’escursione documentata in un blog, io e i rifugiati di turno decidiamo di raggiungere il bivacco buse delle Dodese, piccolo edificio di curata fattura ai confini tra Veneto e Trentino.
Agli immancabili Luca, Claudio, Cristian ed io questa volta si è aggiunto Marco, assente giustificato nell’ultima escursione al Salvedela.


La partenza è da “piazzale delle saline” come letto sul blog, più che un piazzale un’ampia  curva su una strada sassosa e stretta.
Optiamo per un menù più leggero e pratico rispetto al solito, viste le 3 ore e mezza previste per coprire il tragitto verso il Dodese.
La voglia di aggiungere una caciotta di pecorino alla cena ci ha fatto fermare ad una malga facendo slittare di un po’ la partenza. Dopo aver parcheggiato il furgone, compiuta la solita preparazione e distribuzione dei pesi, partiamo per la rifugiata alle 17 passate.
Il percorso fino a “piazzale Lozze” è abbastanza pianeggiante e spedito  ciò nonostante riusciamo ad essere in ritardo ad ogni pitstop previsto, il numero di marmotte avvistate è notevole.

Dopo il piazzale il sentiero che prendiamo(n.840) per l’obbligato passaggio dal monte Ortigara inizia ad inasprirsi e ad essere molto più ripido, lo scenario  è suggestivo, man mano che avanziamo ci addentriamo in un paesaggio  diverso, all’inizio era boscoso, ora più roccioso, sempre all’insegna del selvaggio, si ha l’impressione di essere lontani anni luce dal traffico quotidiano, dalle città, ed in realtà lo siamo.



Dopo aver  ricevuto dagli alpini presenti al poco più in alto rifugio Cecchin un sonoro no sulla eventualità  a passare lì la notte proseguiamo la nostra marcia, iniziamo a percepire nell’aria qualcosa difficile da spiegare, stavamo calpestando lo stesso suolo che 100 anni fa fu  calpestato da migliaia di poveri soldati, ed i segni iniziavano pian piano ad essere evidenti.
Alle 19 circa arriviamo al baito Ortigara, una casetta di pietre poco accogliente usata come ricovero chissà da quanti sventurati, le tabelle indicano due sentieri  per il monte Ortigara: uno diretto da 35 minuti ma in salita, l’ altro con aggiramento del monte da 45, dopo esserci rifocillati decidiamo di prendere il secondo.
Scelta azzeccata, non tanto dal punto di vista pratico(nella parte finale era sorprendentemente ripido)ma da quello  paesaggistico, durante l’ascesa  abbiamo visto oltre alle solite simpatiche marmotte due cervi, vedute mozzafiato delle valli sottostanti  ed una galleria scavata nella pura roccia con appostamenti militari da brividi.


  Fin qui tutto bello, paesaggi, panorami, reperti storici, a differenza delle precedenti rifugiate avevamo visto addirittura degli animali. L’unico neo  è l’ora, siamo sulla cima dell’ Ortigara ma sono già le 20, nonostante la conclamata esperienza alle notturne del “presidente”  non ero tranquillo, l’idea di camminare al buio nel bel mezzo del niente un po’ mi inquietava, soprattutto non sapendo dove e quanto distanti fossimo dal Dodese.
Infatti di tabelle per il bivacco fino ad ora nessuna(in realtà non ne troveremo mai)il rifugio Campilussi era ad un’ora e mezza, poi altre indicazioni verso punti a me ignoti.
Vista la titubanza ed eccessiva lentezza nel proseguire da parte di tutti decido di dare una smossa e prendo di gran lena un sentiero in discesa che mi sembrava  guardando la cartina andare nella direzione giusta, sperando di dare una scossa che ci facesse arrivare al bivacco ad una ora decente.
La scelta si è rivelata mezz’ora più tardi precipitosa ed errata, infatti secondo Luca non dovevamo lasciare l’altavia e rivedendo con calma le carte in nostro possesso aveva  ragione. Incassato lo giusto sfogo del”pacifico” per la mia scelta avventata, ci mettiamo a risalire la montagna  senza percorrere la precedente discesa, ma cercando seguendo  l’intuito di ricollegarci al sentiero per proseguire sull’altavia.


                                                               Il monte ortigara
La scelta per quanto improvvisata ci ha detto bene, dopo 10 minuti abbiamo già trovato l’indicazione che cercavamo, neanche a dirlo questa deviazione ci aveva fatto perdere ulteriormente del tempo, oramai il sole stava scendendo ed i colori del tramonto arrivavano accompagnati da una fresca brezza.
Da lì i primi cenni di cedimento: fisici da parte del “presidente” , materiali da parte del “pacifico”, il suo sandalo già rattoppato durante l’ultima escursione  lo aveva questa volta abbandonato definitivamente obbligandolo a  proseguire praticamente scalzo.
Il sole stava passando la mano alla luna con tutta la sua pienezza e del rifugio ancora nessuna traccia, finche non vediamo in lontananza ma ben visibile un rigagnolo di fumo.
“Il Dodese!!” Sarà anche già occupato ma almeno ci siamo! Accelerando il passo iniziamo a fare due conti, la struttura ha 6 posti letto, noi siamo in 5, anche se sono in due dovremo stringerci,  magari sono una compagnia  numerosa come la nostra, speriamo di no!
Ad un certo punto il fumo non si vede più e neanche il sentiero, anzi si restringe ed inizia a salire verticalmente nella direzione opposta da dove più a valle avevamo visto il fumo, io e Luca andiamo in sopralluogo e proviamo con le oramai necessarie pile a seguirlo ma l’oscurità assieme ad una leggera foschia  sembrava  averlo inghiottito, arrivati sul crinale il sentiero sembra scendere per il versante opposto al nostro sparendo nello strato  di nuvole sottostanti.


“Allora cosa facciamo?” Decidiamo di fare l’ultima cosa che si dovrebbe fare in montagna(soprattutto col buio)lasciare il sentiero e scendere per una via leggermente segnata sperando  di ritrovare il fumo amico
Errore numero due.
Dopo varie decine di metri arriviamo ad un boschetto e  lo pseudo sentiero svanisce, lasciando spazio al nostro intuito  per uscire dalla steppa  e provare a raggiungere almeno una stradina sterrata che avevamo notato sotto di noi prima di lasciare il sentiero stesso, tanto oramai secondo i nostri calcoli eravamo scesi troppo, ben al di sotto del bivacco.
Nel giro di qualche minuto finalmente arrivano due segnali positivi, primo: raggiungiamo la stradina, secondo: in lontananza sentiamo un belato,” se non sarà il rifugio almeno una malga abitata dove trovare alloggio”, pensiamo.
Dopo un bel camminare niente, la luna piena illuminava i nostri passi ma non alimentava più il nostro ottimismo, il numero di belati si era fermato ad uno, quello sentito all’inizio, circa 40 minuti prima.
Arriviamo ad una tabella, a sinistra “piazzale delle Saline”a 2 ore e 30 e “malga Pozze” ad 1 e 30, dritto proseguendo per la stradina  che qualche metro più in là spariva in discesa si andava in un posto mai sentito prima. Mentre gli altri discutevano sul da farsi  decido di vedere cosa c’era oltre il dosso.
La visione davanti a me era demoralizzante e grottesca: un gregge senza malga, con i pastori adagiati in un furgone, e a destra i resti di un fuoco, quello che aveva generato nelle nostre menti  il fumo del bivacco. Li le nostre speranze di raggiungere il Dodese erano oramai belle che sepolte.
Al mio ritorno mi trovo d’accordo con la decisione presa dal gruppo di provare a vedere se malga Pozze è abitata ed ospitale o se così non fosse stato raggiungere “piazzale delle Saline” chissà a che ora, buttar su una pasta, alzare il tetto a soffietto e dormire abbracciati dalla rabbia-delusione per  aver buttato all’aria una rifugiata che ormai era impacchettata, perché secondo i nostri calcoli eravamo veramente vicini al bivacco.
Alle 22 e 15 stavamo ancora camminando per raggiungere malga Pozze, sfruttando le ultime energie rimaste e la luce offertaci dalla luna piena  che aveva ormai reso superfluo l’utilizzo delle pile, questa volta la rifugiata era stata azzardata, partenza eccessivamente ritardata, decisioni scriteriate, ed anche un pizzico di sfortuna.
Dopo ben oltre l’ora e trenta segnalata troviamo una tabella:”piazzale delle Saline”1 ora e 45 a sinistra e “malga Pozze” 5 minuti  diritto, anche se un po’ scettici proviamo a vedere se c’è qualcuno alla malga e soprattutto(vista l’ora)se sono ancora svegli.
Avvicinandoci  vediamo chiaramente il riflesso del  manto e sentiamo il belare strepitante di innumerevoli  pecore, da una finestra si vede un lumino  all’interno della malga, la speranza aumentava.
Una volta vicini all’ingresso in rapida successione si avvicinavano quattro grossi cani neri abbaianti ed usciva un ragazzo, senza darci il tempo di capire se i migliori amici dell’uomo avessero cattive intenzioni perché subito richiamati.

                                                  Durante la notte la famiglia si è allargata  
“Ciao…scusa l’intrusione ma ci siamo persi, volevamo sapere se puoi ospitarci per questa notte!”
Dopo una risata a denti stretti e qualche parola farfugliata in mezzo veneto-italiano rientra per poi uscire assieme al presunto padrone, un breve attimo di studio  qualche domanda e ci fanno entrare dandoci ospitalità in una bella stanza tutta per noi, lasciandoci prima però piena disponibilità della cucina per farci la pasta ed il caffè.


Tra una fetta di soppressa, pecorino, vino portati da noi ed una grappa pesante fatta in casa offerta da loro ci lasciamo trasportare dai racconti di Fabio ed i suoi due collaboratori romeni, sulla vita da pastore, tra le difficoltà giornaliere e le soddisfazioni che questo lavoro può dare.
  Ci rendiamo conto di quanto siamo stati fortunati ancor di più quando veniamo a sapere che erano arrivati solo qualche giorno prima, e che sarebbero rimasti solo un paio di settimane.
Un'altra notizia a dir poco allucinante era che il fuoco acceso dai pastori visto qualche ora prima serviva  per tenere lontano l’orso denominato M4, che da parecchi giorni circolava nella zona uccidendo molte mucche e vitelli.


Verso l’una e trenta dopo l’ultimo saluto alle stelle ci mettiamo a dormire, tra una sgommata e l’altra nei materassini ad aria ed il gran russare proveniente dalla camera pastorale finalmente ci addormentiamo, ripensando alle molte emozioni vissute durante la giornata.
La mattina, dopo aver fatto colazione, salutato e ringraziato(non finiremo mai di farlo)i nostri nuovi amici ci mettiamo in marcia verso il furgone.





Tempo un paio d’ore su una bella strada bianca e siamo già a”piazzale delle Saline”.
Decidiamo di concludere la rifugiata con il solito pranzo, ma una volta arrivati alla malga Stadler ci dobbiamo accontentare di quello avanzato la sera prima, li non fanno piatti caldi.
Dopo il pranzo ci aspettava la visita alla “città di roccia” con le sue bellissime pareti rocciose e le trincee della grande guerra.


Gran coronamento ad un fine settimana memorabile, ancora grazie Fabio.
Arrivederci rifugiati…








                               

giovedì 26 giugno 2014

Salvedela vecia 21-22 /6/2014


                                                                     
Il ritrovo è come il solito all’alba (10 circa )questa volta  però a casa di Michele a Mira, per la maggior vicinanza all’imbocco dell’autostrada Venezia- Belluno.
Da lì usciremo a Vittorio Veneto, poi laghi di Revine e Tarzo, dunque su per la storica “strada dei cento giorni”, Passo San Boldo ed infine una volta a Sant’Antonio di Tortal ci dirigeremo verso il campo sportivo,trovato il parcheggio  lasceremo l’auto per visitare il mitico Brent de l’art.
Questa volta l’unico mezzo usato è l'auto di Claudio, visto che siamo solamente in 5: Claudio appunto ,Luca, Cristian, Caio ed io(Michele) “pochi ma boni”.



Il programma del percorso è un po’ diverso da quello usato per il Beta: vista la distanza,  il raggiungimento a piedi di un rifugio dopo la visita obbligatoria (visto l’interesse manifestato da tutti) al Brent de l’art non è fattibile.
Una volta terminato il tour turistico al Brent dovremo quindi riprendere l’auto  per raggiungere malga Posa Puner, da lì a piedi tramite una via prevalentemente pianeggiante(per la gioia del presidente,e anche mia)sceglieremo uno tra questi tre rifugi: Salvedela nova, Salvedela vecia, o malga Mont.
Nel caso il tour ci facesse fare troppo tardi l’intenzione è quella di rifugiarci nei vicini Loff o Vallon scur, ma andiamo per ordine.
Arrivati nel parcheggio veniamo colti da un attacco di fame, però avendo già predestinato come luogo sacrificale per il salame i Brent ci dobbiamo accontentare delle patatine.
Dopo aver scambiato svariati commenti sui nuovi acquisti da escursione: scarponi per me e Caio, zaino per Cristian e la bevanda  stile “lattepiù” del pacifico Luca, finalmente ci mettiamo in marcia.
La discesa per raggiungere i Brent è relativamente corta anche se un po’ ripida.
Ci si accorge subito all’arrivo al ponte che le foto viste in internet a differenza di altre volte non rendono giustizia alla bellezza del posto.

"l'artista" aspettando che gli cada un'idea in testa

Man mano che ci addentriamo  nella forra(canyon) mi chiedo come mai in passato non mi era mai capitato di sentire od incrociare foto riguardanti questo spettacolo della natura.
Ma forse è meglio così, credo che se solo venisse pubblicizzato un po’ verrebbe preso d’assalto, invece durante la giornata abbiamo incontrato solo un piccolo gruppo organizzato di canyoning e due coppie di giovani.
Il sito andrebbe visitato in sicurezza, magari con un casco. Le rocce sono scivolose ed in alcuni tratti il passaggio è davvero angusto, infatti ad un certo punto ci siamo dovuti fermare  mentre i canyonisti si sono addentrati per altre poche decine di metri, fino alla fine della forra. Potrebbe essere utile un casco per le piccole pietre che possono cadere dalle alte pareti calcaree, mentre per le rocce tipo quella che abbiamo visto rotolar giù nel punto esatto in cui i canyonisti si trovavano pochi istanti prima,la protezione avrebbe fatto ben poco, ad occhio e croce era  grande come un comodino.
Una volta riuniti al ponte siamo andati a pranzare nel punto che io e Cristian appena arrivati avevamo tacitamente designato  essere il posto giusto.Una roccia enorme e liscia, all’ombra, vicina al ruscello che pochi metri dopo sarebbe scomparso nella forra. Solito mega salame, questa volta con pane e cabernet del Piave, per non perdere il vizio.
Siamo stati interrotti a metà pranzo dal ritorno dei canyonisti, dopo aver incassato dalla loro guida la giusta ramanzina sulla sicurezza che bisognerebbe adoperare per visitare il canyon, sfociata però in una sorta di reclame al suo club,e aver visto riflesso il salame negli occhi di una partecipante(e forse anche il vino)siamo venuti a conoscenza che più su risalendo il ruscello c’erano altri due Brent, con diverse caratteristiche da quello visitato.Decidiamo quindi di provare a raggiungerli avendo  ancora molto tempo davanti.

                           

Dopo aver camminato per un po’ senza trovare ne indicazioni ne punti di riferimento validi, io, Caio, e Cristian ci sediamo su una roccia a chiacchierare fissando le migliaia di girini abitanti delle pozze, un po’ demoralizzati dalla vana ricerca un po’ per preservare le forze in vista della rifugiata che ci aspettava, e forse già paghi dal meraviglioso contesto in cui ci trovavamo.
Una volta comunicato via cellulare con Luca e Claudio che invece imperterriti avevano proseguito l’ascesa del ruscello e trovato un Brent, proviamo a raggiungerli invano perche ad un certo punto il ruscello spariva tra le rocce e a mio vedere non si poteva proseguire.
Invece “la guida” aveva clamorosamente ciccato, il Brent si trovava subito dopo, e l’accesso anche se non si vedeva era proprio alla fine(o meglio all’inizio)del ruscello, nascostomi dai pochi metri che per rassegnazione avevo lasciato tra me e lui, esperienza da usare come lezione.


Dopo aver recuperato un bella radice che Claudio aveva individuato come futura “creazione artistica”ci raggiunge assieme a Luca nei pressi dell’auto, la nostra favolosa esperienza ai  Brent era conclusa.
Alla fine di un lungo conciliabolo interno, consultando la mappa e chiedendo informazioni ad alcuni locali decidiamo di cambiare il punto di partenza (Posa Puner)per la rifugiata.
Vista la vicinanza era più conveniente partire da malga Canidi e raggiungere i tre rifugi con sequenza inversa rispetto al programma iniziale.


Una volta  parcheggiato alla malga, raccolto dal titolare informazioni  sul percorso e soprattutto sul menù della domenica, in compagnia di una simpatica famigliola di asini che era venuta a darci il benvenuto  prepariamo gli zaini, affrontando la solita annosa divisione dei carichi.
Per la sera classico menù del rifugiato, soliti spaghetti da fare all’aglio olio e peperoncino, carne alla brace, insalata, vino rosso, caffè, grappa, e una crostata al cioccolato con candelina per festeggiare il compleanno del presidente avvenuto in settimana.


  Siii partee
                                                                 
Dopo il primo tratto del sentiero ci rendiamo conto che la scelta di partire dal Canidi  piuttosto che dalla Puner non ha stravolto le nostre aspettative, si tratta di un altipiano sempre in quota con pochi sali e scendi, tratti di pascolo alternati a vedute panoramiche molto suggestive. Vista la sua lunghezza(da malga Canidi si arriva in 4 ore circa a malga Puner, e forse oltre), facilità di percorrenza,  paesaggio  bello e vario, ed i numerosi rifugi relativamente vicini, il sentiero è abbastanza frequentato da famiglie con bambini ed appassionati di mountain bike
Per arrivare al primo rifugio abbiamo impiegato più tempo del previsto(circa 2 ore), per le consuete pause fisiche, riflessive, comunicative, fisiologiche ecc..,che contraddistinguono le nostre escursioni.
Malga Mont è la classica malga di montagna ma con annesso un bivacco sempre aperto,molto domestico,con camino, cucina in legno, grande tavolo con sedie, un’altra stanza che con i letti di rete a castello  e i materassi può ospitare 5 persone circa, c’è addirittura l’impianto elettrico che però non funzionava, forse  per l’elettricità bisogna chiedere alla malga.

malga Mont
Il  luogo è molto bello e panoramico, anche per questo Cristian aveva esternato la sua volontà a passare li la notte, ovviamente la curiosità di vedere i prossimi due rifugi che dovevano distare non più di 20 minuti dal Mont ha fatto si che ai voti la decisione del presidente venisse rigettata all’unanimità!

                                                                       Salvedela nova
In effetti dopo neanche mezzora raggiungiamo il Salvedela nova, il rifugio sembra di recente costruzione, l’esterno si presenta integro e bello, con un bel angolo griglia e tavoli in legno.
L’interno invece lascia un po’ l’amaro in bocca, oltre a rispecchiare la sensazione avvertita da fuori e cioè che è piccolo, è un po’ sporco e tenuto male.
In entrata c’è una stufa economica a legna(che dai forum  letti e dal nero attorno non sembra ben funzionante)subito dopo una stanzetta con tavolo e panche in legno, al piano superiore una stanza vuota dove credo non possano trovare sonno più di 4 persone.
Decidiamo di giocarci le ultime cartucce con il Salvedela vecia, dopo neanche 10 minuti prendendo la strada a destra siamo già arrivati.

trovate l'anomalia
All’aprire la porta ci rendiamo conto che non dobbiamo andare oltre(anche perché il Pillon è segnalato ad un’ora e mezza)il posto è perfetto!
Due enormi stanze opposte l’una all’altra,divise da due porte, la prima con camino, tavolo, panche,ed annessa  zona  dormitorio, la seconda con stufa economica, tavola, panche, piccolo comò e spazio sufficiente ad accogliere “noi rifugiati”.
In tutto tra le due stanze credo ci possano dormire più di venti persone, dentro c’è l’essenziale come descritto,per questo risultano pulite ed ordinate, sembra d’essere a casa propria!
Attiguo al Salvedela c'è un lungo rustico che una volta doveva essere la stalla, entrambi gli edifici sono restaurati a nuovo.
Dopo aver esaurito i commenti sul rifugio, acceso le due fonti di calore decidiamo di occupare la stanza con la stufa economica, solo per il fatto che il camino faceva un sacco di fumo, e l’avremo usato solo per grigliare la carne.
In poco tempo  abbiamo disposto ogni cosa, individuato la zona dormitorio, procurata la legna e imbastito il tutto sia per la pasta che per la grigliata.
La preparazione della pasta sulla cucina economica come al solito non ha dato grosse difficoltà, il problema maggiore è stato per la carne, il camino non tirando molto ha riempito la stanza di fumo, e neanche le molte finestre spalancate hanno evitato al designato di turno(io)di farsi una gran sudata con pianto.
La serata è stata magnifica, la cena come sempre semplice ma saporita, con l’aggiunta della crostata- sorpresa per il compleanno del presidente, visibilmente emozionato, la grappa e la compagnia hanno fatto il resto.

                                                              auguri presidente
Ad un certo punto della notte Cristian che era uscito a rinfrescarsi con enfasi ci dice di uscire di corsa a vedere. Sgomitando  per raggiungere l’esterno gli altri rifugiati fantasticavano:”Sarà un cervo?un capriolo?una vipera?un orso?un rinoceronte?Finalmente un animale!
Un topolino…..ma va in mona presidente!!
Come sempre la mattina dei rifugiati non ha sveglia, del resto la festa la sera prima si era protratta fino ad ora tarda, e seppur avendo camminato in piano eravamo un po’ stanchi.
Luca  è stato l’ultimo ad alzarsi, anche perche da buon pacifico aveva lasciato a casa il sacco a pelo e con l’aggiunta del materassino bucato non aveva dormito granchè, da segnalare che il giorno prima anche un suo saldalo lo aveva abbandonato, non in maniera definitiva visto che riusciva lo stesso a camminare.
Solite pulizie al rifugio, raccolta immondizia prodotta, conta dei cadaveri(bottiglie di vino seccate)e si ritorna in marcia, non prima di aver salutato il bel Salvedela vecia.

Salvedela vecia

la stalla 

In poco tempo raggiungiamo malga Mont, oggi c’è molta gente in giro, ed anche le nubi sono aumentate molto rispetto a ieri, tanto che la vista dal monte Crep purtroppo non era un granchè, il giorno prima doveva essere favolosa.
Verso l’una arriviamo a malga Canidi dove in compagnia dei sonnolenti cani locali ci aspetterà un pranzo semplice economico e non troppo  saporito, ma con 13 euro non si può pretendere di più.

Sulla strada del ritorno abbiamo svoltato verso il bel castello di Zumelle per visitarlo, per concludere la nostra rifugiata con una nota di cultura….a no!!
Alla salute ed alla prossima!



martedì 18 marzo 2014

Rifugio Beta 15-16 /3/2014


                         
Rifugio Beta
La partenza alla volta di Cordellon è fissata in prima mattinata dal parcheggio di Calcroci.
Al nostro arrivo Cristian il presidente è già lì che ci aspetta assieme a Caio col suo nuovo furgone camperizzato, subito dopo arrivano rispettivamente dai loro paesi di origine nell'ordine Moreno e Marco, all'appello mancano solo Simone e Loris da prelevare rispettivamente a Camponogara e Vigonza.Michele il folletto purtroppo si è clamorosamente dimenticato della data prefissata per l'escursione, perdendosi in altri appuntamenti oramai irrinunciabili.
Dopo un viaggio tranquillo all'insegna dei vecchi ricordi vissuti e qualche tappa fisiologica arriviamo nel tranquillo borgo di Cordellon. La prima impressione è che effettivamente il paesino sia calpestato da poche anime come risaputo, senza dare però quella sensazione di tristezza ed abbandono che altri simili paesini montani danno.
Andiamo subito alla ricerca del ristorante Ai Gir  per raccogliere info dal titolare sul percorso da scegliere. Dopo un breve conciliabolo, una cartina turistica acquistata, un salame ed una bottiglia di vino consumati in loco, il nostro programma risulta ben presto deciso: partenza dal parcheggio del ristorante alla volta del rifugio Beta o casera del guardian con tappe all’Olt de Val d’Arc ed alla cascata Pissador, rispettivamente  la prima all'andata, la seconda il giorno dopo al ritorno verso 'l'Ai Gir, un percorso ad anello non troppo impegnativo,l'epilogo di domenica a pranzo con grande abbuffata al ristorante sopracitato.


                                                                                  Inizio dell'avventura

Dopo poche centinaia di metri ed aver passato il primo dubbioso bivio senza indicazioni abbiamo la sensazione di aver già sbagliato sentiero e neanche la lettura della cartina all’apparenza semplice riesce a metterci d'accordo, decidiamo di proseguire anche perchè tornare indietro annullerebbe lo sforzo fatto sin là visto che si tratta di un sentiero sempre in salita. Questo ha inevitabilmente creato dei gruppi con in testa Simone,Loris,Moreno seguiti da Michele,Luca, Cristian e Caio,in coda Claudio "il saggio"che centellina gli sforzi in previsione della non chiara distanza dal Beta. Il presidente a fronte della sua conclamata attitudine alle camminate in montagna lamenta una certa antipatia verso il trasporto dello zaino,effettivamente da buoni rifugiati abbiamo al seguito ogni ben di dio:un salame, un chilo di spaghetti da fare all’aglio e olio, ossetti(costicine)salsicce, pancetta, polenta, una quantità di vino rosso(cabernet e refosco)pari ad un litro e mezzo cada rifugiato, grappa e giustamente un po’ d’acqua, insomma tutto lo stretto necessario per un’escursione in montagna.
Man mano che continuiamo a salire cerchiamo di capire tramite la famigerata cartina dove ci troviamo, se abbiamo preso il sentiero giusto, sforzandoci di vedere nella stessa dei riferimenti quali casere abbandonate viste strada facendo. Fortunatamente dopo un bel po' a fugare ogni dubbio troviamo un cartello indicante il rifugio ad un’ora e trenta. Tenendo conto che ai tempi di percorrenza segnati nei cartelli di montagna, redatti dai locali acclimatati ed allenati alle lunghe camminate, dobbiamo aggiungere il gap che divide noi abitanti della pianura a loro, quantificabile in dieci minuti circa ogni ora segnata,vuol dire che saremo arrivati al beta in circa due. In realtà tra pause(è proprio in una di queste che Cristian ha proposto a me (michele)Luca e Claudio di fondare un gruppo che poi tramite un referendum interno avrebbe preso il nome di”noi rifugiati”)e riposini vari saremo arrivati ben più tardi,comunque a parte il sentiero sempre lievemente in salita reso più ripido dal peso degli zaini lo scenario durante l’ascesa è molto bello e selvaggio,le indicazioni verso il Beta sono ora più rassicuranti.
Ad un certo punto alla vista del rifugio a me e Cristian che eravamo rimasti in coda al gruppo si sono riempiti i cuori di gioia,per il presidente il motivo era finalmente scaricare lo zaino e riposarsi, per me tagliare il salame e stappare una bottiglia, ad ognuno la propria priorità. Durante il meritato ristoro nella panchina esterna  a base di salame pan biscotto e vino rosso c’era chi contemplava il rilassante  paesaggio e chi andava a visitare l’interno del rifugio, in pochi minuti l'insaccato era bello che sparito.


         La felicità dietro ad una fetta di salame un bicchiere di vino in compagnia davanti ad un panorama fantastico

Il Beta è un rifugio molto ben tenuto situato a 1025 metri sul livello del mare, è sempre aperto,dispone di due stanze al pian terreno, una con panche, tavolo, stufa a legna e fornelli a gas l’altra con stufa a legna panche e divano in finta pelle. Al piano superiore due ampie stanze con alcune reti per dormire, all’incirca credo possa ospitare comodamente per la notte una 15ina di persone. Le stufe hanno un buon tiraggio e a differenza di altri rifugi si può andare a casa senza che gli abiti puzzino troppo di affumicato.
Visto che avevamo davanti ancora qualche ora di luce decidiamo di lasciare gli zaini nelle camere e ripartire per vedere l’Olt,che secondo le mie previsioni dovevamo trovare prima di arrivare al Beta,invece le tabelle le abbiamo trovate subito dopo il rifugio proseguendo per il sentiero,tabelle che se non ricordo male segnavano 45 minuti. Dopo un’ora in discesa in mezzo alla neve, la maggior parte di noi al trovare un'altra tabella che lo indicava a 20 minuti e l’avvicinarsi del crepuscolo decide di tornare al rifugio per preparare la cena. I soli Luca e Moreno provano a seguire il sentiero sempre innevato questa volta un po’ in salita,scelta vana visto che dopo aver proseguito per un’altra mezz'ora non hanno trovato niente(solito gap pianura-montagna)e ci hanno raggiunto al Beta a buio oramai consolidato.



  L'inutile discesa alla ricerca dell'Olt
                                                                           

                                                                           "il giovane" e "l'attore"all'opera 


In pochi minuti la corvè era stabilita,al fuoco e grigliata nel bel barbecue esterno Loris e Moreno, addetti legna Simone e Marco,alla pasta io,gli altri subentravano a dare il cambio ed espletavano altre incombenze. La cena a lume di candela tra un’ombra e l’altra è risultata essere perfetta e man mano che il livello del vino calava le gag e le perle di saggezza non solo da parte di Simone e Claudio aumentavano, fino ad arrivare al caffè e relativa grappa dove iniziavamo a perdere i pezzi. Chi si accomodava nelle panche, chi si preparava la cuccetta per la notte, chi all’esterno contemplava l'oscurità, insomma l’ora di andare a dormire era oramai venuta.
Nella stanza principale si sono accomodati Claudio, Marco e Simone(sulla panca)alias il saggio, il giovane e l’attore, nell’altra Cristian e Michele alias il presidente e la guida, sopra in una stanza Loris,Moreno,Luca per il gruppo il poeta romantico,il fotografo ed il pacifico, nell’altra da solo per scelta e compassione nei confronti degli altri rifugiati visti i suoi noti concerti notturni Claudio-Caio detto il portaborse.
Dopo aver passato una notte calda e tranquilla con quello che è rimasto facciamo colazione e le pulizie per lasciare il rifugio pulito ed accogliente come l’avevamo trovato.


                                                                  Preparativi prima del ritorno a Cordellon

Dopo un breve summit all’esterno del rifugio il gruppo si divide in due,da una parte Cristian,Marco,Caio e Simone decidono di tornare a Cordellon tramite il sentiero da dove eravamo arrivati, mentre gli altri di concludere l’anello passando per la val Pissador con la visita all’omonima cascata. Alla base della decisione dei primi l’incognita neve,soprattutto per Marco che non voleva mettere ulteriormente alla prova la suola delle sue scarpe da ginnastica aggiustate in precedenza con l’attack. Effettivamente non sapevamo come fossero le condizioni del sentiero oltre il Beta, mentre il ritorno per gli ammutinati assicurava loro una via in discesa e soprattutto asciutta. Dopo aversi gentilmente sobbarcato l’immondizia prodotta il giorno prima ed aver alleggerito i nostri zaini il primo gruppo si è messo in marcia verso Cordellon mentre il secondo verso la cascata con il ritrovo fissato all’Ai Gir ora pranzo.
Fortunatamente per il secondo gruppo la neve dopo circa 100 metri di dislivello è svanita, il sentiero dopo il Beta prosegue sempre in un ambiente selvaggio e panoramico, solo lì abbiamo incrociato i primi escursionisti.
Appena sceso il promontorio tramite una serie di tornanti il percorso inizia a costeggiare un ruscello con una leggera discesa, molti tronchi accatastati in una falegnameria a cielo aperto ci fanno pensare che lavorare in questi luoghi non deve essere poi così male,almeno per l’anima. Tra una chiacchiera e l’altra e le molteplici deviazioni per evitare gli alberi caduti durante l’inverno per le abbondanti nevicate, arriviamo all’ultimo bivio,quello per la cascata,diamo un’occhiata all’ora e nonostante ci fossimo attardati parecchio decidiamo di andare lo stesso anche se il pranzo sarebbe slittato di un po'.


                                      "il fotografo" per una volta soggetto davanti alla Pissador 

Ci sono voluti non più di un quarto d’ora per raggiungerla,prima attraverso una strada bianca in salita poi nel tratto finale con un sentiero stretto e tortuoso in discesa. La cascata è un bel salto d’acqua di 40 metri,sembra si possa gustarne la visione anche dal basso ma il profumo del formaggio fuso ed il manifestarsi dei primi gorgoglii intestinali dovuti alla fame, ci fa inforcare dopo averla contemplata ed immortalata in alcuni scatti la via verso Cordellon con una certa celerità,anche per non sentire dagli altri rifugiati le lamentele dovute al  ritardo.
Effettivamente al nostro arrivo, se non sbaglio verso le 14, neanche il tempo di unirci agli altri che veniamo rimpinzati come animali da ingrasso dal gestore del ristorante, evidentemente sensibilizzato dai nostri occhi affamati. Abbiamo mangiato benissimo con soli 17 euro,menu fisso con bis di primi,carne,contorni,il tipico formaggio schiz e dolce,ovviamente il tutto annaffiato a rosso.
Dopo aver pagato e salutato ci godiamo la difficoltosa ed abbondante digestione nel prato della chiesetta dove avevamo parcheggiato le auto  sotto il tepore di un sole tiepido ma vivo, prima di una volta arrivati a casa salutarci e darci appuntamento alla  prossima rifugiata.
                                                             

                                                             "Il presidente" ed "il pacifico" satolli all'Ai Gir

                                                                   

                                                                La bella chiesetta vicina al ristorante


                                                                 Il triste momento del ritorno a casa